REAZIONI AVVERSE AGLI ALIMENTI (RAA)
Con il termine di reazione avversa ad un alimento (RAA) si intende una risposta clinica anomala sicuramente correlata alla ingestione di un alimento, determinata da uno qualsiasi dei suoi componenti, siano essi naturali o aggiunti.
Le reazioni avverse vengono, a loro volta, distinte in due grandi gruppi: quelle tossiche e quelle non tossiche:
Dal Position Paper EAACI “Adverse reactions to food” (Allergy 1995, 50: 623), modificato.
Le reazioni tossiche sono dovute alla presenza di tossine presenti naturalmente negli alimenti o prodottesi in seguito o durante la loro manipolazione. Possono interessare qualsiasi individuo, non dipendono dalla suscettibilità individuale, ma dalla concentrazione delle tossine. In genere provocano manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale (cefalea, allucinazioni, incoerenza, convulsioni), fegato (es.atrofia gialla), sangue.
Non è un problema allergologico in senso stretto, ma rientra nella diagnosi differenziale delle RAA.
Le reazioni non tossiche, invece, dipendono dalla suscettibilità individuale verso uno o più componenti alimentari. Comprendono reazioni di ipersensibilità non immunomediate (intolleranze) e di ipersensibilità immunomediate (cioè allergiche propriamente dette).
Le reazioni di ipersensibilità non immunomediate, in base al meccanismo patogenetico, sono a loro volta distinte in:
1. Intolleranze enzimatiche: conseguenza di un difetto enzimatico, in genere errori congeniti del metabolismo. Si manifestano dopo l’assunzione del cibo contenente il substrato dell’enzima deficitario. Si tratta di forme rare, ad eccezione dell’intolleranza al lattosio, frequente nella popolazione adulta, causata dal deficit di lattasi, l’enzima che metabolizza il lattosio. La riduzione della produzione dell’enzima lattasi è pressoché fisiologica con l’età: si stima che in Italia il deficit di lattasi interessi il 50% della popolazione.
2. Intolleranze farmacologiche: correlate con una particolare suscettibilità propria di alcuni pazienti verso sostanze ad azione farmacologica, presenti in diversi alimenti. In genere si tratta di amine vasoattive: istamina (vino, spinaci, pomodori, formaggi stagionati, ecc.), tiramina (formaggi stagionati, vino, birra, lievito di birra, ecc.), caffeina (caffè, bevande commerciali), solanina (patate), teobromina (tè, cioccolato), triptamina (pomodori, prugne), feniletamina (cioccolato), serotonina (banane, pomodori). Inducono una sintomatologia varia con un meccanismo dose-dipendente, in seguito ad un accumulo. Ciò significa che chi non tollera una determinata sostanza e la assume saltuariamente può non accusare alcun sintomo; nel caso invece di un’ingestione ripetuta, si ha un accumulo con sintomatologia simile a quella propria dell’allergia IgE-mediata.
3. Intolleranze da meccanismi sconosciuti: in questa definizione rientra la maggior parte delle reazioni avverse provocate da additivi (conservanti, coloranti, aromi), per le quali non è stato possibile dimostrare il meccanismo patogenetico. Riproducono gli stessi sintomi di reazioni allergiche (tant’è vero che si usava il termine di reazioni pseudo allergiche). Raramente gli additivi provocano reazioni gravi come lo shock anafilattico e l’asma; più frequentemente sono stati sospettati di aggravare i sintomi in patologie croniche come l’asma bronchiale, la dermatite atopica e l’orticaria cronica.
Le reazioni di ipersensibilità immunomediate sono le reazioni allergiche propriamente dette.
Le reazioni di avversione, non previste nel documento EAACI originale, dipendono da cause esclusivamente psicologiche, senza alcun substrato anatomico: si va dal rifiuto di alcuni singoli alimenti fino al rifiuto totale proprio dell’anoressia nervosa.
REAZIONI ALLERGICHE AGLI ALIMENTI
Le reazioni di ipersensibilità immunomediate sono le reazioni allergiche propriamente dette.
L’allergia alimentare può essere classificata in due forme distinte:
• IgE mediata: può manifestarsi con la sintomatologia tipica delle reazioni anafilattiche, cioè sindrome orale allergica, orticaria ed angioedema, anafilassi gastroenterica, sintomatologia respiratoria (rinite e asma bronchiale), shock anafilattico.
• non-IgE mediata: enterocoliti ed enteropatie, malattia celiaca, dermatite erpetiforme.
L’allergia alimentare può originare sia da una sensibilizzazione verso antigeni alimentari introdotti con la dieta, sia da allergeni respiratori, che cross-reagiscono con proteine omologhe presenti nei vegetali.
Allergeni alimentari.
In base a sequenze aminoacidiche comuni e a strutture tridimensionali, gli allergeni possono essere classificati in alcune famiglie di proteine. Sono distinte le famiglie di origine animale da quelle di origine vegetale.
Le famiglie più importanti di origine animale sono: tropomiosine (molluschi e crostacei), parvalbumine (pesce), caseine (latte).
Le principali famiglie di origine vegetale sono: prolamine (cereali, frutta e verdura), cupine (legumi), famiglia di Bet v1 (rosacee e apiacee), profiline (frutta e verdura).
Nonostante qualsiasi alimento sia potenzialmente un allergene per il nostro organismo, i principali allergeni sono 14 e spiegano il 90% delle allergie alimentari:
• CEREALI contenenti glutine come grano, segale, orzo avena, farro e i prodotti derivati.
• CROSTACEI e prodotti a base di crostacei.
• UOVA e prodotti a base di uova. La cottura dell’uovo ne riduce l’allergenicità del 70%. L’uovo presente nei cibi cotti, in particolare al forno, come torte e biscotti è quindi meno rischioso per gli allergici.
• PESCE e prodotti a base di pesce.
• ARACHIDI e prodotti a base di arachidi.
• SOIA e prodotti a base di soia.
• LATTE e prodotti a base di latte. Le proteine del latte vaccino (βlattoglobulina, βlattoalbumina, e caseina) rappresentano la più frequente causa di allergie, soprattutto nei bambini. Tutti i tipi di latte sono simili, e cross-reagiscono tra loro, eccetto quelli di asino e cammello. Quindi chi è allergico al latte vaccino non può utilizzare latte di capra, pecora etc.
• FRUTTA A GUSCIO mandorle, nocciole, noci, noci di acagiù, noci di pecan, noci del Brasile, pistacchi, noci macadamia o noci del Queensland, e i loro prodotti.
• SEDANO e prodotti a base di sedano.
• SENAPE e prodotti a base di senape.
• SEMI DI SESAMO e prodotti a base di sesamo. Spesso il sesamo rappresenta un allergene nascosto nel cibo; da ricordare che viene spesso utilizzato nei prodotti per celiaci.
• LUPINI e prodotti a base di lupini. Spesso utilizzato nei prodotti gluten-free.
• MOLLUSCHI e prodotti a base di molluschi. Vongole, cozze, ostriche, capesante (bivalvi), lumache, patelle (gasteropodi), calamari e totani, seppie e polpi (cefalopodi).
Epidemiologia.
Sebbene il 20-25% della popolazione adulta lamenti una sintomatologia correlata all’assunzione di cibi, in realtà, l’allergia alimentare vera e propria, e quindi basata su un meccanismo immunologico, ha un’incidenza intorno al 2-3% nella popolazione adulta e al 6-8% nei bambini.
Manifestazioni cliniche.
Le reazioni cutanee sono le più frequenti, infatti rappresentano più dell’ 80% delle reazioni allergiche alimentari. L’ingestione di allergeni alimentari può provocare sia la comparsa immediata di sintomi cutanei, sia l’aggravamento di una condizione clinica cronica, come una dermatite atopica ad esempio.
Le manifestazioni cutanee più frequenti sono rappresentate da orticaria e angioedema, che generalmente compaiono entro qualche minuto dall’ingestione dell’alimento. L’allergia alimentare è la causa del 20% circa delle forme di orticaria acuta, mentre è molto più raramente responsabile delle forme croniche, cioè che durano da più di sei settimane.
Altri sintomi cutanei possono essere il prurito, l’arrossamento e un rash morbilliforme: spesso questi sintomi precedono lo sviluppo di orticaria, angioedema o altri sintomi più gravi.
Inoltre, gli alimenti possono anche causare una orticaria acuta da contatto: in questo caso le lesioni si sviluppano solo nell’area a diretto contatto con il cibo.
I sintomi delle alte vie aeree, come rinorrea, congestione nasale, starnuti e prurito, sono molto frequenti, e possono essere accompagnati anche da sintomi oculari, come prurito, iniezione congiuntivale, eritema perioculare e lacrimazione. Molto raramente la rinite e la congiuntivite si manifestano in modo isolato.
I sintomi, invece, delle basse vie respiratorie sono potenzialmente pericolosi, ma fortunatamente più rari: vanno dal laringospasmo, all’edema della glottide, all’asma bronchiale.
Per quanto riguarda le manifestazioni gastrointestinali della allergia alimentare IgE-mediata, i sintomi più comuni sono l’immediata ipersensensibilità gastrointestinale e la sindrome orale allergica. La prima è caratterizzata dalla comparsa di nausea, dolori gastrici e addominali, vomito e diarrea di tipo episodico. I sintomi che interessano il tratto gastrointestinale più alto, cioè vomito e dolore, compaiono da qualche minuto a un paio d’ore al massimo dopo l’ingestione dell’alimento responsabile, mentre i sintomi più bassi come la diarrea, possono essere immediati, ma possono anche comparire fino a 6 ore dopo l’assunzione.
La sindrome orale allergica (SOA) è considerata una forma di orticaria da contatto, caratterizzata da prurito e bruciore della mucosa orale ed angioedema delle labbra, della lingua, del palato e della gola immediatamente dopo l’ingestione di vegetali. I sintomi della SOA generalmente si risolvono spontaneamente entro qualche minuto dall’ingestione. Si riscontra con maggior frequenza nei soggetti pollinosici: è presente, infatti, dal 40 al 50% dei pazienti sensibilizzati ai pollini.
Lo scatenamento dei sintomi della SOA in soggetti pollinosici trova ragion d’essere nella cross-reattività allergenica tra pollini ed alimenti. Per esempio, pazienti sensibilizzati al polline dell’ambrosia possono sviluppare SOA con il melone e la banana. Il polline di betulla, invece, cross-reagisce con gli alimenti appartenenti alla famiglia delle Rosacee, quali mela, albicocca, pesca, prugna, ciliegia, ma anche con carota, patata, sedano, finocchio e kiwi.
Le IgE specifiche verso un determinato polline si fissano ai mastociti presenti nella mucosa orale; riconoscendo un allergene presente in un alimento di origine vegetale cross-reattivo con un determinato polline, degranulano e scatenano la sintomatologia. Inoltre le IgE, seguendo un incremento stagionale, fanno sì che nel periodo di pollinazione la SOA sia più intensa.
La più grave reazione IgE-mediata che può comparire in un paziente è l’anafilassi, una reazione immediata che coinvolge diversi organi ed apparati e può portare allo shock e all’exitus. Si stima che l’allergia alimentare sia la causa del 30-50% di tutti i casi di anafilassi. I cibi più frequentemente responsabili sono arachidi, noci e molluschi. L’inizio dei sintomi è improvviso, spesso si verifica entro pochi minuti dall’ingestione. La sintomatologia è causata dagli effetti di potenti mediatori intracellulari come l’istamina, le triptasi e i leucotrieni rilasciati da mastociti e basofili durante la reazione allergica. Le reazioni anafilattiche gravi possono culminare in insufficienza respiratoria, ipotensione, aritmie, fino alla morte.
Esiste una sindrome, definita food-associated, exercise-induced anaphylaxis (FEIA), che si verifica soprattutto in adolescenti e giovani adulti. In questo caso l’anafilassi si verifica in pazienti che, dopo aver ingerito l’alimento, praticano attività fisica, di qualsiasi entità, entro le 3-4 ore successive. E’ determinata dalla combinazione di alimentazione e sforzo fisico: se il soggetto non compie alcuna attività fisica, l’alimento può essere ingerito senza che compaia alcun sintomo e, viceversa, se compie attività fisica a digiuno non ha problemi. A volte è determinata dall’ingestione d’un preciso alimento (ad es. il grano); altre volte è la semplice alimentazione, indipendentemente dal tipo di cibo, a scatenare il tutto.
Diagnosi.
La diagnosi di reazioni avverse da alimenti si avvale di vari metodi.
Anamnesi e valutazione clinica.
Nella raccolta dei dati anamnestici e nella valutazione clinica, occorre valutare:
• natura e tipo dei sintomi apparentemente legati all’assunzione di alimenti
• correlazione tra loro insorgenza ed assunzione del pasto (congruità temporale)
• tipo e qualità degli alimenti ingeriti
• loro successiva assunzione
• contemporanea assunzione di farmaci
• effettuazione di esercizio fisico
• presenza di patologie atopiche (o familiarità per atopia)
• presenza di altre patologie concomitanti (ad es. malattie intestinali)
Test cutanei.
Le prove allergologiche cutanee hanno lo scopo di identificare un possibile meccanismo immunomediato (IgE o cellulomediato) alla base della reazione avversa, rivelandone pertanto la natura allergica.
Nel sospetto di una genesi anafilattica, cioè IgE-mediata, vengono eseguite i prick test, con estratti allergenici commerciali, ed il prick by prick, con gli alimenti freschi.
La tecnica del “prick by prick” è una variante del prick test, che utilizza come fonte allergenica l’alimento come tale. Consiste nell’effettuare il prick test sulla cute con la lancetta dopo che è stata messa a contatto con l’alimento fresco. Tale tecnica consente di aumentare la sensibilità e soprattutto la specificità del test cutaneo rispetto a quello effettuato con gli estratti commerciali, consente di saggiare diversi alimenti, in particolare quelli sospettati come causa della reazione e risultati negativi coi prodotti industriali e quelli per i quali non esiste in commercio l’estratto diagnostico.
In caso di sospetta genesi immunologica cellulomediata, si può ricorrere all’atopy patch test, variante del classico patch test (o test epicutaneo). Consiste nel porre l’alimento a contatto con la cute per 24-48 ore, utilizzando come supporto un cerotto anallergico.
Test in vitro.
La ricerca degli anticorpi IgE sierici specifici per gli antigeni alimentari (RAST: Radio Allergo immuno Sorbent Test) ha il vantaggio, rispetto al prick test, di essere maggiormente standardizzata, di non avere interferenze farmacologiche, di poter essere eseguita anche in corso di patologie cutanee (controindicazione all’esecuzione dei test cutanei), di non essere potenzialmente pericolosa, e di fornire dati semiquantitativi. E’ tuttavia esame di secondo livello, cioè va effettuata dopo le prove allergologiche cutanee per conferma o per ulteriore valutazione delle positività riscontrate.
Infine, si ricorda come il dosaggio isolato delle IgE sieriche totali (PRIST: paper radio immuno sorbent test), causa la sua aspecificità, non costituisca un test di screening dei pazienti con sospetta allergia né da inalanti né alimentare; infatti:
• i livelli fisiologici sono molto variabili in base all’età, gruppo etnico, sesso, condizioni socioambientali, fumo;
• i valori di normalità sono molto ampi: non è possibile definire generiche soglie di normalità;
• può esserci un’allergia IgE mediata importante, con valori nella norma; viceversa, ci sono soggetti atopici con valori alti di IgE totali perfettamente asintomatici;
• le IgE totali possono aumentare in numerose condizioni non allergiche.
Risulta invece utile in appoggio al RAST per una più corretta interpretazione delle eventuali singole positività.
Diagnostici usati in vivo ed in vitro – I ricombinanti.
I diagnostici usati sia in vivo che in vitro si basano su estratti prodotti dalle differenti fonti allergeniche ed i loro differenti tessuti: pollini vari, epiteli, acari, muffe, alimenti, ecc. Tali estratti sono formati da diverse componenti, non tutte allergeniche, a concentrazioni variabili e frequentemente instabili, per cui sono difficili da standardizzare, con conseguenti problemi diagnostici.
Negli ultimi anni, tuttavia, le principali fonti allergeniche, grazie alle tecniche ricombinanti, son state caratterizzate molecolarmente ed oggi son state identificate circa 1500 molecole allergeniche (www.allergome.org). Rispetto agli estratti allergenici, gli allergeni ricombinanti presentano molti vantaggi: sono perfettamente caratterizzati a livello molecolare e immunochimico, sono altamente purificati, sono facili da standardizzare, permettono diagnosi e cura più precise.
Tenuto presente che una stessa fonte allergenica può contenere molecole di diverse famiglie, è importante identificare correttamente verso quale molecola sia sensibilizzato il paziente, per valutare le conseguenze d’una eventuale esposizione allergenica (es. gravità clinica) e per poter instaurare, ove ve ne sia l’indicazione, una giusta immunoterapia specifica.
Diete di eliminazione e test di scatenamento (challenge test).
La dieta di eliminazione è utile in quelle forme croniche nelle quali è molto difficile individuare l’alimento in causa. Se durante il periodo di dieta i sintomi regrediscono, è possibile reintrodurre in modo controllato i vari alimenti con test di provocazione orale, in modo da identificare l’alimento scatenante.
Il test di provocazione orale è l’unico che consenta di stabilire un corretto rapporto di causa-effetto fra assunzione dell’alimento e la comparsa dei sintomi.
È un test indaginoso, che va eseguito in regime di ricovero ed in ambiente protetto, somministrando dosi crescenti dell’alimento. Si effettua laddove i dati raccolti non consentano la corretta identificazione dell’alimento responsabile dei sintomi (e questi non siano potenzialmente pericolosi per la vita).
Terapia.
Una volta fatta una precisa diagnosi di allergia alimentare, la terapia consiste nell’esclusione dalla dieta dell’alimento o degli alimenti in causa. Se la diagnosi è corretta, questo dovrebbe far regredire completamente i sintomi.
Esistono, però, delle eccezioni alla terapia di esclusione dietetica: si tratta degli allergeni sensibili al calore, come le Profiline, che provocano esclusivamente sindrome orale allergica. Questi pazienti possono generalmente consumare i cibi che contengono la Profilina ben cotti senza manifestare alcun sintomo.
In alcuni casi di elevata sensibilità è stata effettuata una desensibilizzazione: viene somministrato al paziente l’alimento in causa iniziando con una quantità estremamente piccola ed aumentando gradualmente la dose. Potrebbe essere utile nelle allergie ad alimenti che difficilmente possono essere del tutto evitati, ad es. il latte.
La terapia con anticorpi monoclonali anti-IgE (omalizumab) ha dimostrato di riuscire ad innalzare la soglia di tolleranza all’arachide in pazienti altamente sensibilizzati. Una allergia che metta a rischio la vita del paziente potrebbe essere uno dei rari casi in cui questo tipo di terapia è indicata.
È importante poi indicare a quali presidi farmacologici sia necessario ricorrere nell’eventualità che si presentino sintomi gravi. Nelle reazioni gravi e potenzialmente pericolose per la vita l’unica terapia efficace e ad azione immediata è l’adrenalina; cortisonici ed antistaminici agiscono troppo lentamente e, quindi, non sono di prima scelta in simili occasioni. Esiste una preparazione di adrenalina per auto-somministrazione (autoiniettore) per via intramuscolare: tutti i soggetti allergici ad alimenti che hanno avuto episodi gravi come shock o edema della glottide dovrebbero averla sempre a disposizione.
Pagina realizzata grazie al contributo scientifico della dott.ssa Elena Penza e del dott. Matteo Borro.